Una foto al giorno con la mia Voigtländer
Negli ultimi mesi, tra un lavoro come fotografa in studio e un progetto di grafica, ho deciso di aggiungere alla mia routine quotidiana un piccolo esercizio di stile. Perciò sto portando con me una vecchia macchina fotografica a pellicola e scatto una foto al giorno. Nessun tema prestabilito, nessuna pretesa artistica. Solo un’immagine che racconti qualcosa. Un momento qualunque che, per un attimo, diventa importante.
La macchina di cui parlo è una Voigtländer Vitessa (1950): elegante ma un po’ capricciosa, con quella sua leva per il caricamento eccessiva ed il mirino da esploratore d’altri tempi. È pesante e rumorosa, ma regala scatti che sembrano piccole perle. Quindi l’idea non è fare la “foto perfetta”, ma rallentare. Osservare. Fare spazio all’intuizione.
Infine sbagliare, usare rullini scaduti o scoprire che la pellicola non è avanzata. Fa tutto parte del “progetto”.

Sorrido vedendo come, dopo il periodo post-Covid, ci sia un ritorno alla fotografia analogica. Lo noto tra i clienti, online, ma anche nei volti di ragazzə giovanissimə che mi chiedono consigli su come usare una reflex manuale. Inoltre c’è un piacere nuovo nell’aspettare di vedere il risultato, nell’accettare anche l’imperfezione. Sperimentando.
E in un mondo dove tutto passa dallo schermo, forse la pellicola ha il suo fascino. Ci ricorda che la fotografia non è solo immagine, ma anche pensiero, materia, attesa e sorpresa.
Infatti il mercato sta cambiando: alcuni strumenti analogici sono diventati introvabili, altri sono tornati accessibili, ma in generale si respira un entusiasmo che non si vedeva da anni. E per chi lavora nella fotografia a Reggio Emilia (ma anche nella formazione e nella progettazione visiva), è bello sapere che i più giovani non cercano solo filtri preimpostati, ma esperienze vere e coinvolgenti.




